L'ennesima fitta al ginocchio mi ricorda che non sono costruito per gli spazi ristretti. Ogni movimento è un tentare di allargami verso possibilità volumetriche inesistenti. Provo a mettere un piede sotto al seggiolino di fronte e l'altro incastrato tra il bracciolo e il desiderio di avere ancora più spazio. L'immobilità delle strutture di acciaio e finta pelle blu adornata d'arancio mi riporta alla realtà dello spazio limitato.
Provo a rimettermi seduto in posizione
ergonomica culo indietro, schiena dritta e ginocchia a novanta gradi
e continuo a stare stretto. Anche solo un centimetro in più di
spazio fra il mio ed il sedile di fronte cambierebbe enormemente la
prospettiva di viaggio.
Dovrei dormire, secondo i piani.
Il sedile reclinabile non è troppo
reclinabile, le luci accese e il rumore mi ricordano che sono anni
luce dalla mia situazione ideale di riposo.
Sfoglio le riviste della tasca di
fronte, leggo una pagina del libro che mi sono portato e un capitolo
del manuale di fotografia e sono punto e a capo.
Non c'è selezione di film in questo
volo da dieci ore più due ore di ritardo. Nove ore e 40 per la
precisione. Il sistema Linux ha provato a lanciarsi per un po',
informazioni e linee di comando di bootstrap lasciando poi i nostri
schermi LCD allo stesso muto nero di partenza.
Il cambio a Mosca è andato liscio
senza troppi intoppi. L'aeroporto semideserto e una colazione da 27
euri ci ricorda che siamo nel limbo di una nazione fatta di poveri ed
oligarca senza niente nel mezzo.
L'aereo è una sorpresa. E' grande con
tre file di sedili. Due sui lati ed una da quattro posti al centro.
Pulito e nuovo; come ogni altro aereo. Chiediamo alla ragazza che ci
divide se con Ale può cambiare posto così viaggiamo insieme.
Sovraeccitata accetta cercando forse di mantenere il contatto con noi
per tutta la durata del viaggio felice di andare in Giappone.
Giocherello con la cinghia di sicurezza
ed atterriamo. Per sgranchirci le gambe ci alziamo e camminiamo verso
il controllo passaporti, visto riempito, stampo su etichetta dal
titolo “Landing permission”, “hi!” e siamo dentro in terra
del sol levante.
Verso il controllo passaporti incontro il mio primo bagno tecnologico. Siedo sulla tazza scaldata e non voglio uscire più. I troppi bottoni creano confusione e nessun aiuto in alfabeto occidentale creano il panico. Osservo le immagini stilizzate ma nessuna mi riporta all'acqua da tirare e già mi immagino inondato dal bidet incorporato. Chiudo gli occhi e ne premo uno qualsiasi, ché tanto qualcosa succederà.
Assistito dalla buona sorte
, prima di concludere lo spostamento
Roma-Tokyo, rimangono un paio di cose da risolvere alle biglietterie:
Japan Rail Pass al piano di sotto in tempo per evitare una fila
chilometrica che si ammucchia dietro di noi; scambiamo la prova di
acquisto con l'attuale biglietto attivato fra una settimana e
chiediamo pure il World Heritage Pass per la tappa di Nikko.
Verso il controllo passaporti incontro il mio primo bagno tecnologico. Siedo sulla tazza scaldata e non voglio uscire più. I troppi bottoni creano confusione e nessun aiuto in alfabeto occidentale creano il panico. Osservo le immagini stilizzate ma nessuna mi riporta all'acqua da tirare e già mi immagino inondato dal bidet incorporato. Chiudo gli occhi e ne premo uno qualsiasi, ché tanto qualcosa succederà.
Assistito dalla buona sorte

“ééééééééhhhhh?” significa
che non ha idea di cosa sia e guarda stupefatta il foglio sul quale
abbiamo scritto cosa vogliamo.
“ééééééééhhhhh?” significa
che proprio non ha idea di cosa sia, magari noi stranieri ci stiamo
sbagliando.
“ééééééééhhhhh?” significa
ma che ne ne so, perché non ve ne andate?
Scompare più volte nel retro
dell'ufficio e riappare ogni volta con un “ééééééééhhhhh?”
più intenso.
Infine gloriosa torna spedendoci al
piano di sopra da dove veniamo verso un'altra compagnia di trasporti.
Ci sgranchiamo ancora un po' le gambe tornando su aiutati dalle scale mobili, quindi in questo caso non abbiamo sgranchito molto e chiediamo ad un bancone dell'esistenza del pass che ci dice di rivogerci al bancone accanto, settanta centimetri più a destra, stessa compagnia. Dopo una piccola colluttazione verbale-traslativa capisce cosa vogliamo e prende il blocchetto nascosto da sotto al bancone assicurandosi tra le varie opzioni che ha che prendiamo quella giusta.

Un'ora e ¥1000 ci convincono che si
può fare e lo vogliamo prendere. Ci dice che dobbiamo rivolgerci al
bancone accanto, settanta centimetri più a sinistra, stessa
compagnia.
Ci spiegano come arrivare alla nostra
fermata di attesa, usciamo ci sgranchiamo le gambe nel freddo
evitando la pioggia sotto agli alti loggiati dell'aeroporto.
Attesa.
Un tipo ci etichetta gli zaini e organizza la fila per salire a bordo.
Sicuri di non dormire per la troppa eccitazione del posto nuovo e da vedere dall'altro del mezzo diesel, ci svegliamo a Tokyo Station storditi di pioggia. Saltando tra un riparo e l'altro andiamo in cerca dell'ingresso della metro per poi finamlente trovare il nostro ryokan tradizionale 25 ore dopo la nostra partenza.
Attesa.
Un tipo ci etichetta gli zaini e organizza la fila per salire a bordo.
Sicuri di non dormire per la troppa eccitazione del posto nuovo e da vedere dall'altro del mezzo diesel, ci svegliamo a Tokyo Station storditi di pioggia. Saltando tra un riparo e l'altro andiamo in cerca dell'ingresso della metro per poi finamlente trovare il nostro ryokan tradizionale 25 ore dopo la nostra partenza.