lunedì 31 dicembre 2012

Tokyo


La prima sveglia giapponese è fatta di sole.
Per noi abituati alle sveglie scure e grigie londinesi è un toccasana dell'anima e ci prepara per una buona giornata di scoperte.
Sulla strada per la metro più vicina ci fermiamo pochi minuti al primo santuario che si apre un varco tra il viale poco trafficato e due edifici muti.
Leggero fascino di una nicchia silenziosa che accoglie speranze e desideri di fedeli di passaggio.
Lavarsi mani e bocca alla fontana per poi avvicinarsi al templio, gettare una monteta per chiedere attenzione e un momento di raccoglimento.


Destinazione Daiba, waterfront, DiverCity Tokyo Plaza.
In cerca della nostra infanzia.




















































Il tempo tira già le redini della giornata e presto il momento già di andare arriva per non mancare l'appuntamento con Nicola, amico dai tempi di "G.R.A." che adesso vive qui, che sarà il nostro cicerone.
Il viaggio di rientro verso Shibuya è una festa di suoni e treni e un'interessante passerella veloce sulla città.



Davanti alla statua del cane Hachikō, Nicola ci trova che stiamo quasi per scendere le scale giù verso la metro, dalla parte opposta da dove usciti, attraversiamo in diagonale da bravi Tokinesi e ci lasciamo investire dalle luci, vetri e colori e la città commerciale a sviluppo verticale.







Scopre che ancora non abbiamo mangiato da stamani e ci porta in un ristorante tipico dove prima di entrare si sceglie il piatto e si compra il biglietto equivalente da un distributore automatico installato all'ingresso. Si entra accolti dalle grida dei cuochi che esultano ad ogni cliente che va e che viene.





Le grandi coppe di zuppa e spaghetti ci rimettono in pace e siamo pronti per la lunga camminata che arriva.



Consumata Shibuya, prendiamo il treno per Asakusa.
D'ora in poi è solo a piedi per le prossime ore.
Sensō-ji Temple è la partenza della peregrianzione di questo capodanno che tocca il Tokyo Sky Tree nella zona di Sumida per poi di nuovo Asakusa.

Sulla strada scattiamo foto da buoni turisti. Durante la sessione di autoscatti con sfondo lo Sky Tree un bambino si avvicina imbarazzato e sorridente facendoci capire che ci aiuterebbe a scattarci una foto. Ricambio quasi il sorriso costruendo il sì in gola mentre Ale burbera e spaventata impone un no.
Imbarazzo. Il tempo scorre lento, quasi fermo. Scugnizzo tokinese in fuga col mio cellulare. Lo sguardo meravigliato del piccolo insicuro di aver capito la risposta. Il no definitivo avrebbe distrutto la sua infanzia e l'approccio con gli occidentali.
Gli porgo il cellulare correggendo il precedente rifiuto; porterò pazienza ed accetterò la perdita in caso di effettiva fuga. Scatta, mi rende il cellulare, ringrazio e corre via dai genitori.
Menti distorte le nostre, nel dubitare di un bambino, ma è esperienza e impostazione culturale da sudeuropei sempre sulla difensiva.




















Strade strette di bar e Izakaya pieni di gente in attesa della mezzanotte. Si beve, come i Tokinesi amano fare e si accompagnano i bicchieri con piatti e cibo a calmare l'alcohol che non riuscirebbero naturalmente a fare.
Ci sediamo e siamo parte della festa.
Sorridono, ubriachi, e socializzano. Non c'è ombra dell'aggressività londinese, nonostante pure qui la metropoli immagino sia competitiva.
Più l'alcohol scorre più aumentano le risa, la socialità, le grida; e la mezzanotte quieta appare.





Referenze:

Il santuario
Tōkyō-to, Bunkyō-ku, Hongō, 4丁目3−1 櫻木神社
Latitudine: 35.707699 (35° 42' 27.72'' N)
Longitudine: 139.759351 (139° 45' 33.66'' E)

Daiba
DiverCity Tokyo Plaza
Latitudine: 35.625175 (35° 37' 30.63'' N)
Longitudine: 139.775555 (139° 46' 32.00'' E)

Shibuya e il famoso incrocio
2丁目 Shibuya, Shibuya-ku, Tōkyō-to, Japan
Latitudine: 35.659510 (35° 39' 34.24'' N)
Longitudine: 139.700547 (139° 42' 1.97'' E)

Tokyo Sky Tree, Sumida.
1丁目-1-2 Oshiage, Sumida-ku, Tōkyō-to 131-0045
Latitude: 35.710139 (35° 42' 36.50'' N)
Longitude: 139.810833 (139° 48' 39.00'' E)

domenica 30 dicembre 2012

Tokyo


Stazione di Hongo Sanchome.
Il posto sconosciuto ci accoglie con pioggia scura e potente che attraversa strati addosso e montagne di vestiti chiuse nello zaino a spalla.
In una situazione normale ci metteremmo dieci minuti a camminare tra l'uscita della metropolitana e l'ingresso del ryokan prenotato. Adesso potremmo metterci un'eternità.
Con piccoli balzi passiamo da una tettoia sotto l'altra senza tregua né spazio fra le striscie d'acqua che ci disegnano addosso freddi ruscelli di rassegnazione.
In un tempo indefinito arriviamo ad aprire la porta accolti da sorrisi, asciugamani, movimenti plateali di ginocchia e inchini che portano più e più asciugamani. Chiusa la porta il freddo rimane intrappolato nell'ambiente, via le scarpe attorno ai calzini leggeri, rimpiazzati da pantofole scomode di finta pelle, senza destra né sinistra. Seduti ci guardiamo attorno chiedendoci dove il tepore sia finito e riempiamo le carte necessarie al nostro pernottare al contorno di sorrisi.
Ci spiegano le misure da prendere per tenere il riscaldamento acceso, possibilmente non quello a fiamma, che c'è ma è meglio di no nell'edificio in struttura di pino, pavimenti in tatami, che è paglia pressata con contorni adornati a fantasia e mura in carta di riso.
Optiamo quindi per l'aria condizionata e ci teniamo lontani dai guai.
Nudi, I panni a stendere, coccole e attorno al té sul tavolino laggiù in basso, ginocchia piegate e talloni sotto le natiche.
La prima doccia giapponese è nel bagno in comune per nove persone, privo di gente. Il freddo perseguita nello spogliatoio ed oltre la porta a vetro un denso calore nuvoloso si accumula sulla pelle striata del poco sonno accumulato.
Improvviso, timido, immaginando che dovrei sedermi laggiù sul panchetto di legno per lavarmi prima di entrare nella vasca calda che brucia lasciando segni e subito esco riaffrontando il freddo.
In stanza mostro la differenza di dove ero immerso con quello lasciato fuori che è fatto di un rosso punteggiato contro un pallido rosa del mio solito colore.
Ci chiedono se vogliamo preparare la stanza per la notte ed usciamo a mangiare in cerca di un ristorante.
Camminiamo nella città deserta per un po' e ci chiudiamo nel posto che ha più clienti e meno fotografie dei piatti o miniature esposte, che per noi significa buono.




Siamo giù nell'angolo in fondo sul palco rialzato con gambe raccolte sotto il tavolo basso cercando di caprire se i kanji possano aiutare a sfamarci. Attoniti e arresi ci mettiamo nelle mani dei sorrisi della signora che porta uno dietro l'altro piatti sconosciuti ricchi e gustosi di compagnia al té caldo mentre birra ghiacchiata servita in bicchieri conservati in freezer scorre a fiumi lungo il bancone che osserva la cucina. 
Ad ogni boccone ci rilassiamo sempre più col sospetto però che potrebbe essere una cena molto cara.
Che non è.






Paghiamo attorno i ¥4000 felici e contenti ed usciamo cercando di capire dove siamo stati, ma i kanji sull'insegna rimangono tali e muti e ci ripromettiamo di scoprirlo una volta a casa in Europa.

La quieta città di poche macchine e persone ci accompagna verso il nostro giaciglio. Una sosta in libreria prima di rientrare, per aumentare la stanchezza e la stanza ha cambiato forma: al posto del tavolino del té, adesso all'angolo, due piumoni stesi a terra sul basso futon ritroviamo il sonno lasciato addietro due notti fa.




Referenze
Il ryocan:
Homeican Ryocan, nella zona di Bunkyo.
日本
113-0033 東京都文京区本郷5丁目10−5
Latitudine: 35.711165 (35° 42' 40.19'' N)
Longitudine: 139.756242 (139° 45' 22.47'' E)

Il ristorante:
Tōkyō-to, Bunkyō-ku, Hongō, 4丁目25 猪尾ビル
sulla strada Hakusan Dori.
Latitudine 35.711010 (35° 42' 39.64'' N)
Longitudine 139.753109 (139° 45' 11.19'' E)

sabato 29 dicembre 2012

Volo Roma - Mosca - Tokyo



L'ennesima fitta al ginocchio mi ricorda che non sono costruito per gli spazi ristretti. Ogni movimento è un tentare di allargami verso possibilità volumetriche inesistenti. Provo a mettere un piede sotto al seggiolino di fronte e l'altro incastrato tra il bracciolo e il desiderio di avere ancora più spazio. L'immobilità delle strutture di acciaio e finta pelle blu adornata d'arancio mi riporta alla realtà dello spazio limitato.
Provo a rimettermi seduto in posizione ergonomica culo indietro, schiena dritta e ginocchia a novanta gradi e continuo a stare stretto. Anche solo un centimetro in più di spazio fra il mio ed il sedile di fronte cambierebbe enormemente la prospettiva di viaggio.
Dovrei dormire, secondo i piani.
Il sedile reclinabile non è troppo reclinabile, le luci accese e il rumore mi ricordano che sono anni luce dalla mia situazione ideale di riposo.
Sfoglio le riviste della tasca di fronte, leggo una pagina del libro che mi sono portato e un capitolo del manuale di fotografia e sono punto e a capo.
Non c'è selezione di film in questo volo da dieci ore più due ore di ritardo. Nove ore e 40 per la precisione. Il sistema Linux ha provato a lanciarsi per un po', informazioni e linee di comando di bootstrap lasciando poi i nostri schermi LCD allo stesso muto nero di partenza.
Il cambio a Mosca è andato liscio senza troppi intoppi. L'aeroporto semideserto e una colazione da 27 euri ci ricorda che siamo nel limbo di una nazione fatta di poveri ed oligarca senza niente nel mezzo.
L'aereo è una sorpresa. E' grande con tre file di sedili. Due sui lati ed una da quattro posti al centro. Pulito e nuovo; come ogni altro aereo. Chiediamo alla ragazza che ci divide se con Ale può cambiare posto così viaggiamo insieme. Sovraeccitata accetta cercando forse di mantenere il contatto con noi per tutta la durata del viaggio felice di andare in Giappone.
Felici di andare in Giappone.

 


Giocherello con la cinghia di sicurezza ed atterriamo. Per sgranchirci le gambe ci alziamo e camminiamo verso il controllo passaporti, visto riempito, stampo su etichetta dal titolo “Landing permission”, “hi!” e siamo dentro in terra del sol levante.
Verso il controllo passaporti incontro il mio primo bagno tecnologico. Siedo sulla tazza scaldata e non voglio uscire più. I troppi bottoni creano confusione e nessun aiuto in alfabeto occidentale creano il panico. Osservo le immagini stilizzate ma nessuna mi riporta all'acqua da tirare e già mi immagino inondato dal bidet incorporato. Chiudo gli occhi e ne premo uno qualsiasi, ché tanto qualcosa succederà.
Assistito dalla buona sorte, prima di concludere lo spostamento Roma-Tokyo, rimangono un paio di cose da risolvere alle biglietterie: Japan Rail Pass al piano di sotto in tempo per evitare una fila chilometrica che si ammucchia dietro di noi; scambiamo la prova di acquisto con l'attuale biglietto attivato fra una settimana e chiediamo pure il World Heritage Pass per la tappa di Nikko.
“ééééééééhhhhh?” significa che non ha idea di cosa sia e guarda stupefatta il foglio sul quale abbiamo scritto cosa vogliamo.
“ééééééééhhhhh?” significa che proprio non ha idea di cosa sia, magari noi stranieri ci stiamo sbagliando.
“ééééééééhhhhh?” significa ma che ne ne so, perché non ve ne andate?
Scompare più volte nel retro dell'ufficio e riappare ogni volta con un “ééééééééhhhhh?” più intenso.
Infine gloriosa torna spedendoci al piano di sopra da dove veniamo verso un'altra compagnia di trasporti.

Ci sgranchiamo ancora un po' le gambe tornando su aiutati dalle scale mobili, quindi in questo caso non abbiamo sgranchito molto e chiediamo ad un bancone dell'esistenza del pass che ci dice di rivogerci al bancone accanto, settanta centimetri più a destra, stessa compagnia. Dopo una piccola colluttazione verbale-traslativa capisce cosa vogliamo e prende il blocchetto nascosto da sotto al bancone assicurandosi tra le varie opzioni che ha che prendiamo quella giusta.

Poi chiediamo il prezzo del biglietto del pullmann per Tokyo e il tempo necessario ad arrivarci.
Un'ora e ¥1000 ci convincono che si può fare e lo vogliamo prendere. Ci dice che dobbiamo rivolgerci al bancone accanto, settanta centimetri più a sinistra, stessa compagnia.
Ci spiegano come arrivare alla nostra fermata di attesa, usciamo ci sgranchiamo le gambe nel freddo evitando la pioggia sotto agli alti loggiati dell'aeroporto.
Attesa.
Un tipo ci etichetta gli zaini e organizza la fila per salire a bordo.

Sicuri di non dormire per la troppa eccitazione del posto nuovo e da vedere dall'altro del mezzo diesel, ci svegliamo a Tokyo Station storditi di pioggia. Saltando tra un riparo e l'altro andiamo in cerca dell'ingresso della metro per poi finamlente trovare il nostro ryokan tradizionale 25 ore dopo la nostra partenza.